Questo blog è destinato solo e specificamente alla pubblicazione di atti e interventi relativi alla iniziativa di astensione alle elezioni del C.D.C. dell’A.N.M. che si terranno dall’11 al 13 novembre 2007.
Pubblicheremo qui poche cose, per non “appesantire” la lettura con un accumulo di “materiali”.
Questo blog, coerentemente con la logica dell’iniziativa astensionistica, non costituisce “gruppo”, né “corrente”, né alcun tipo di stabile aggregazione.
Tratta di una iniziativa del tutto “trasversale” e “aperta”.

Diversamente da quanto accade normalmente nei blog, gli articoli di questo blog non sono ordinati cronologicamente, ma logicamente, secondo uno schema di lettura che va dall'alto in basso.

Dunque, gli articoli più in evidenza non sono necessariamente gli ultimi pubblicati e le date degli stessi vengono modificate per mantenere l'ordine logico.


lunedì 8 ottobre 2007

L'A.N.M. è gestita democraticamente o c'è aria di regime?

di Stefano Racheli
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)


L’A.N.M. [Associazione Nazionale Magistrati] è gestita democraticamente?

Metto le mani avanti e dico subito che questo scritto non vuole avere il sapore di un’accusa, ma, se mai, intende essere il grido di chi cerca di capire dove e come le buone intenzioni iniziali (quelle proprie delle “correnti” sul loro nascere) abbiano finito per lastricare una strada per l’inferno (un C.S.M. [Consiglio Superiore della Magistratura] dominato dalla regola dell’«appartenenza»).

Giuste o sbagliate che siano le mie considerazioni, esse sono innanzitutto un’autocritica – assai più che un’accusa a qualcuno – essendo io convinto che numerosissimi siano i magistrati desiderosi di un profondo rinnovamento.

Non so se sia vero che Maria Antonietta – appreso che il popolo rumoreggiava e saputo che ciò accadeva perché il pane scarseggiava – ebbe a rispondere: «Allora date loro delle brioches».

L’aneddoto – vero o inventato che sia – ci dà la misura dell’alienazione in cui, passo dopo passo, si può cadere, quando ci si chiude nel proprio microsistema e nei propri vantaggi: chiuso in un sistema di comodo, l’egocentrico finisce per scambiare il mondo con se stesso.

Il sistema ci acceca, ci rende egoisti e ci spinge a non vedere ciò che è.

Dobbiamo dunque aprire gli occhi e porre a noi stessi una domanda tanto impietosa quanto necessaria: impietosa, perché spiace ammettere che tanta passione civile sia stata involontariamente distorta; necessaria, perché errare humanum est, perseverare diabolicum.

Questa la domanda: le “correnti” dell’A.N.M. hanno finito per dar vita a un regime?

Proverò dunque a ragionare a voce alta su un parola che viene impiegata anche con riferimento al nostro assetto socio-politico generale: regime.

Direi, in prima approssimazione, che regime è quell’assetto in cui il potere rende sì ossequio ai principi formali della democrazia (in ciò distinguendosi dalla dittatura) ma adotta una serie di accorgimenti che rendono meramente teorica la possibilità di perdere il potere.

Insomma il regime è, per un pessimista, una dittatura incompiuta; per un ottimista invece è una democrazia imperfetta: questione, come sempre, di punti di vista.

Pur atteggiandosi in modi assai diversi tra loro, i regimi hanno tratti comuni che mi azzardo a individuare.

Il primo tratto caratteristico di un regime è la forte distanza tra realtà e facciata: la trasparenza è la prima arma della democrazia, la menzogna manipolativa lo strumento principe dei regimi.

Corollario: nelle scelte di regime la motivazione dichiarata diverge spessissimo dalla motivazione reale.

In secondo luogo la democrazia fa propria una cultura improntata al bene comune; il regime, invece, distorce e diffonde pratiche per dir così “corruttrici”, tali cioè da saldare gli interessi particolari dei singoli con gli interessi di coloro che sono a capo del regime.

In tal modo detti interessi particolari – che simul stant simul cadunt con gli interessi facenti capo agli oligarchi – divengono uno dei punti di orza del regime.

In terzo luogo il regime è nemico di una diffusa partecipazione.

La cosiddetta «base» ben può essere chiamata a raccolta (per essere manipolata), ma alle decisione reali presiede una ben individuata oligarchia: la democrazia spinge verso la partecipazione generalizzata, il regime verso gli apparati.

In quarto luogo la democrazia è ricambio, là dove tutti i regimi tendono a cristallizzare gli assetti di potere o al più dar vita a una sorta di gioco dei quattro cantoni ove gli oligarchi si scambiano le poltrone, così mantenendo nella sostanza immutato il loro potere personale.

In quinto luogo il regime riduce la democrazia all’esercizio del voto (un voto peraltro spesso imbastardito da controlli e interferenze indebiti).

Ovviamente i candidati sono scelti dagli oligarchi.

La democrazia alimenta gli entusiasmi, suscita speranze di miglioramento, accende l’inventiva, individua problemi ed escogita soluzioni, promuove la pari dignità dei cittadini e la tutela del bene comune.

Il regime si nutre di liturgie autocelebrative, ignora i problemi reali, è rigido nel trovare soluzioni, spinge verso la rassegnazione, coltiva nel seno la “casta” di quelli che contano, alimenta negli individui il gretto perseguimento del proprio interesse particolare, giustificato con un pessimismo qualunquista che travolge ogni valore.

La domanda che ho posto all’inizio attende una risposta che non può essere solo mia: ciascuno è chiamato a rispondere dopo attenta meditazione (la democrazia è anche diffusa riflessione sui problemi comuni).

Se mai la risposta dovesse essere affermativa, ci troveremmo di fronte a un fatto grave, essendo indubbio che poteri incidenti sull’esercizio della giurisdizione non possono essere esercitati nell’interesse di pochi.

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